Il medico deve sapere osservare le relazioni fra l'uomo e il mondo esterno, fra abitudini di vita e malattia. Solo dopo aver colto tutti questi elementi egli potrà risolvere il problema terapeutico, secondo la regione, il clima e l'individuo.
(Nei Jing Su Wen)

Rando Diana - Dietista e Naturopata - Verona
rando.diana@libero.it

giovedì 22 ottobre 2009

Quante E ci sono nel tuo piatto?


Da circa 25 anni la mia alimentazione è prevalentemente biologica. Prevalentemente, perché spesso non è possibile scegliere, soprattutto quando si mangia al ristorante, in pizzeria o al bar. Solitamente faccio anche la spesa nei negozi che vendono prodotti biologici, ma alle volte, per questioni di tempo o di luogo, è necessario fare la spesa nei supermercati. Allora sorge inevitabilmente la domanda: “Da dove arriva questa frutta e questa verdura?”, “Come sarà stato prodotto questo alimento?”. Così, già da alcuni anni, ho iniziato a controllare tutti gli ingredienti e i paesi di produzione di ciò che volevo comprare. Ed ho scoperto che la quantità di ingredienti inutili presenti negli alimenti è veramente enorme.
Tempo fa, per esempio, in un negozio di prodotti tipici in un paese di montagna ho trovato dei vasetti di verdura veramente invitanti: radicchio di Treviso, tarassaco, funghi, ecc. Verdure anche un po’ insolite da trovare altrove. E mi sono lasciata attrarre dalla bellezza delle verdure e dalla confezione. Ho comprato più vasetti, senza pensare prima di leggere l’etichetta. Quando ho provato a mangiare le verdure, mi sono accorta che avevano tutte lo stesso gusto e non erano buone quanto erano belle, anzi. Ho letto l’etichetta ed ho scoperto che il produttore aveva pensato di introdurre nei vasi un “esaltatore di sapidità”: il glutammato monosodico. Ma che ci sarà da esaltare nella bontà naturale di una verdura? Il contenuto di tutti i vasetti è finito nel secchio dell’immondizia. Delusione e perdita di circa 28 euro.
Morale: meglio leggere le etichette prima di comprare un prodotto, altrimenti:
- Si dovrà buttare via il prodotto e con esso i soldi spesi (scelta auspicabile)
- Ci si sentirà in dovere di mangiare lo stesso il prodotto perché “è peccato sprecare” (sostituendosi alla pattumiera)
- Ci si intossicherà di sostanze inutili e dannose additivate al prodotto.
Purtroppo molte persone non leggono minimamente gli ingredienti, sia per abitudine, sia per la piccolezza dei caratteri di stampa. E così giornalmente introducono una grande quantità di sostanze che intossicano l’organismo senza esserne consapevoli. Spesso, però, le persone sono disinteressate a ciò che introducono nel loro corpo.
Per esempio, quante E vengono introdotte attraverso l’alimentazione quotidiana da una persona?
Le E sono quelle sostanze indicate da una sigla composta dalla E e da tre cifre che indicano il tipo di additivo utilizzato nella preparazione di un prodotto. In base alla direttiva CEE n.107 del 1989, viene considerato additivo alimentare "qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente”.
Quindi, è un qualcosa che non fa parte in natura dell’alimento, non è un alimento, ma diventerà un componente dell’alimento, e con esso entrerà nel nostro organismo.
Tra queste sostanze troviamo: conservanti, antiossidanti, coloranti, addensanti, emulsionanti, dolcificanti, esaltatori di sapidità, agenti anti-schiuma, anti-agglomeranti, ecc.
Il Centro Antitumori di Aviano (PN) ha distribuito un elenco contenente le sigle dei vari additivi, dividendoli in “inoffensivi”, “sospetti” e “tossici”. Tra questi ultimi, guarda caso, quello considerato il più pericoloso di tutti è l’E330, cioè il glutammato monosodico. Allora, come mai ne viene consentita la sua utilizzazione in moltissimi prodotti?
Sempre nel suddetto volantino è riportato un elenco di categorie di prodotti, comprensivo dei marchi di produzione, che contengono gli additivi alimentari considerati tossici: merendine, bibite, aperitivi, dolciumi, prodotti da lievitazione ma anche sigarette. Al primo posto di questo elenco sono indicate le merendine e le relative ditte produttrici. Infatti, gran parte dei prodotti che contengono additivi alimentari (sia considerati innocui che tossici) sono destinati all’alimentazione dei bambini.
Per esempio: “l’E102 (tartrazina) è un colorante artificiale di colore giallo limone che viene aggiunto nelle bevande gassate, nelle caramelle alla frutta, nei budini, nelle minestre confezionate, nei gelati, nei chewing-gum, nel marzapane, nelle marmellate, nelle gelatine, nella mostarda, nello yogurt e in molti altri alimenti insieme a glicerina, limone e miele. La si può trovare anche negli involucri delle capsule di medicinali. A volte viene addizionato al colorante E133 (blu brillante) e E142 (verde) per produrre diverse sfumature di verde durante i processi di inscatolamento dei piselli. È causa di molte allergie e intolleranze in quanto libera istamine. Tra le reazioni a questo colorante vi sono: emicrania, edemi, visione a macchie, riniti, macchie rosse sulla pelle, problemi di respirazione. Se assunta in concomitanza con l’acido benzoico (E210) provoca iperattività nei bambini. Questo colorante è permesso in Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, mentre è vietato in Norvegia e in Austria” (fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
Questo è solo uno degli esempi dei danni che questi additivi provocano alla salute delle persone, in special modo bambini, anziani e convalescenti. Chi, infatti, non ha mai pensato di regalare qualche caramella alla frutta ad un bambino o ad una persona anziana, di portare un gelato ad un degente in ospedale o ad un convalescente, di mettere una merendina nello zaino della scuola del proprio figlio?
La domanda inevitabile è: perché? Perché queste sostanze sono vietate in alcuni paesi ed in altri (il nostro compreso) no, pur sapendo che sono dannose?
Spesso ci sentiamo impotenti di fronte alle scelte delle multinazionali e della politica economica mondiale, ma non dobbiamo dimenticare che noi comuni consumatori abbiamo in mano un’arma molto potente: il potere d’acquisto. Possiamo scegliere ciò che vogliamo comprare, possiamo scegliere ciò che vogliamo mangiare e in questo modo influenzare le scelte produttive delle varie ditte. Ricordiamoci la legge dell’economia studiata a scuola: è la domanda che crea l’offerta.
Cominciate a leggere le etichette dei prodotti che acquistate abitualmente (non solo alimentari, per esempio anche i prodotti cosmetici e di bellezza). Evidenziate quante E trovate e, dando valore 1 ad ogni E, provate a fare il conto di quante E giornalmente finiscono nel vostro piatto, o meglio nel vostro organismo. Il numero totale di E rende l’idea del grado di tossicità giornaliero, dato solo dall’alimentazione. Ad esso bisogna aggiungere una vasta gamma di sostanze tossiche che entrano nel nostro organismo anche attraverso la pelle, l’aria e perfino i pensieri. Se siete curiosi, andate a vedere in internet le notizie relative alle varie sigle. La migliore difesa è la consapevolezza.
Gli unici artefici della nostra salute e della nostra malattia siamo noi. Non solo, siamo anche responsabili della salute e della malattia delle persone che ci stanno vicino, in primis i bambini. Molto tempo fa qualcuno disse: “Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Quindi, evitiamo di intossicare i bambini (nostri e degli altri) offrendo loro caramelle, merendine, ecc. Ci sono molti altri modi per esprimere l’amore. Il cibo ha un’altra funzione.

domenica 2 agosto 2009

IL CIBO NEMICO

Quand’è che il cibo, nella storia dell’umanità, ha iniziato ad essere un nemico?
Un tempo cibo “cattivo” era considerato il cibo velenoso o avariato, che poteva provocare malattia e morte. Oggi il cibo “cattivo” è quello che “fa ingrassare”, quello che “fa giudicare” chi lo consuma, quello che non viene “socialmente accettato”, perché sinonimo di “capriccio, voglia, desiderio, debolezza”.
Mi riferisco sicuramente ai dolci, ma non deve stupire se per molte persone nella stessa categoria rientrano anche tutti i carboidrati.
Dei dolci se ne può fare a meno. Dal punto di vista nutrizionale non sono nemmeno così salutari, perché ricchi di zuccheri, grassi, coloranti, conservanti, ecc. Solo da pochi decenni sono entrati a far parte dell’alimentazione quotidiana. Un tempo erano un’eccezione, oggi sono un cibo-consolatorio.
Ma per quanto riguarda i carboidrati, essi sono indispensabili alla vita. È sui cereali, infatti, che si è basata la sopravvivenza dell’umanità. In ogni Paese del mondo esistono uno o più cereali tipici di quel luogo, in sintonia con il clima, l’ubicazione geografica, la composizione geologica di quel territorio. Nei Paesi in via di sviluppo i cereali sono considerati una ricchezza, un dono prezioso della natura insieme all’acqua, perché insieme garantiscono la vita.
Solo nei paesi “civilizzati” i cereali vengono considerati una “minaccia”, più per la linea che per la salute. E per alcuni aspetti, non a torto, se pensiamo quanto sono stati snaturati, manipolati, raffinati, chimicizzati, elaborati dalla grande industria, tanto da non possedere più nulla della funzione originaria: quella di nutrire.
I carboidrati sono diventati un serbatoio di nude calorie, un veicolo di sostanze additivate dannose alla salute, che nulla hanno a che vedere con la composizione originale del cereale da cui derivano.
Invece di eliminare i carboidrati dall’alimentazione quotidiana, perché non riconsiderare la loro qualità?
Ormai da troppo tempo siamo abituati ad introdurre un solo tipo di cereale: il frumento. Tutte le forme di carboidrati che introduciamo nell’arco della giornata sono a base di frumento: pasta, pane, grissini, crackers, dolci, ecc. Tra l’altro, il frumento con cui vengono fatti viene concimato con fertilizzanti chimici e poi raffinato. Di conseguenza ne deriva un alimento povero di vitamine e sali minerali. Inoltre, la quasi totalità del frumento impiegato nella grande industria deriva da un incrocio tra un frumento “nanizzato” (cioè trattato con le radiazioni perché la pianta non cresca troppo in altezza), chiamato Creso, e un frumento di coltivazione messicana. Ciò avveniva negli anni ’80 e le conseguenze di tutte queste operazioni manipolative sono ora visibili nel dilagare delle intolleranze e allergie che molte persone hanno sviluppato nei confronti degli alimenti contenenti glutine.
In natura esistono numerose varietà di cereali: orzo, miglio, mais, riso, kamut, farro, quinoa, grano saraceno, avena, segale. Ognuno di essi ha caratteristiche e composizione diverse e la loro rotazione nell’alimentazione settimanale garantisce un apporto di sostanze nutritive molto vario, purché di origine biologica e assunti nella forma integrale. Della maggior parte di questi si trovano anche i derivati (pane, pasta, crackers, biscotti, gallette, fiocchi, ecc.) e anche le farine, ma la forma migliore di assunzione per poter usufruire delle loro qualità è quella in chicco o comunque la meno manipolata possibile.
Questi cereali e i loro derivati si possono trovare nei negozi specializzati nella vendita di alimenti biologici e biodinamici, ma da un po’ di tempo anche in alcuni supermercati. In questi ultimi, però, spesso la scelta è meno varia e i prezzi maggiori, oltre al fatto che i prodotti sono esclusivamente confezionati. È quindi utile leggere bene le etichette per essere sicuri che non siano stati additivati di sostanze conservanti, anche se considerate legali.
L’essere umano non è fatto solo di fisico. Per questo tutte le tecniche utilizzate per controllare il peso corporeo (diete, attività fisica eccessiva, digiuni, ecc.) prima o poi rivelano la loro inefficacia e dannosità. Ci si dimentica troppo spesso delle proprie componenti spirituale e mentale, le quali non possono essere controllate dalla volontà e continuano ad ostacolarci nel nostro intento autolesionista, inviando continui messaggi. Tuttavia, noi continuiamo ad ignorarli, sia perché non siamo più in grado di ascoltarci, sia perché ci illudiamo di poterli controllare.
Lo stimolo della fame è un segnale che viene dal nostro essere istintivo. Il suo scopo è permettere la sopravvivenza. Come può essere considerato un nemico? Continuare ad ignorarlo significa voler ignorare la vita stessa. Alla fine, essa ci invia un segnale di disagio talmente forte in modo che non sia più possibile far finta di niente. In un attimo avviene ciò che tanto avevamo temuto. Siamo costretti a capitolare. Ma ormai, in pochi secondi, riempiamo il nostro essere con un’infinità di cibo-spazzatura, invece che di cibo-amore e cibo-cura di sè. E il risultato è proprio quello che abbiamo cercato così affannosamente di evitare.
“Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. “Ama il tuo prossimo come te stesso”.
Perché non trasformare questi insegnamenti in:
“Non fare a te stesso ciò che non faresti agli altri” e “Ama te stesso come ami il tuo prossimo”?
Possiamo cominciare proprio adesso: solo il presente ha valore. Il passato è passato: non esiste più. Il futuro non esiste ancora, ma sarà una conseguenza delle nostre azioni nel presente.
Riempiamo la nostra vita di atti d’amore verso noi stessi!

giovedì 2 luglio 2009

Saziamento e sazietà


I concetti di saziamento e sazietà spesso non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone. Questi due termini vengono solitamente confusi e raggruppati sotto lo stesso termine di “sazietà”, ma in realtà indicano due momenti differenti e complementari dello stesso atto del nutrirsi.
Generalmente, il termine sazietà viene utilizzato sia per indicare il momento in cui non si prova più lo stimolo della fame, sia la durata del periodo da quando ciò avviene fino a quando lo stimolo ricompare.
In realtà, nel primo caso si parla più propriamente di saziamento, il quale indica il tempo che intercorre tra quando si inizia a mangiare e quando non si sente più la necessità di farlo.
Con sazietà, invece, si intende il periodo che intercorre tra il momento in cui cessa lo stimolo della fame fino a quando ricompare.
Nelle persone che utilizzano vari metodi per controllare lo stimolo della fame, spesso il saziamento e la sazietà non vengono più correttamente riconosciuti, impedendo di poter smettere l’atto del mangiare quando l’organismo non ne ha più bisogno o di iniziare a mangiare quando la sazietà è terminata.
Poiché uno dei segnali di saziamento è dato dalla distensione della parete gastrica, esso può essere indotto con vari metodi (es. introduzione di grandi quantità di liquidi o di alimenti quali verdura o frutta che, una volta digeriti, comportano un periodo di sazietà più breve e una precoce ricomparsa dello stimolo della fame). Se, per esempio, un pasto è composto solo da verdura o frutta, il saziamento sarà veloce (distensione gastrica dovuta ad acqua e fibre), ma la sazietà sarà breve e quindi lo stimolo della fame ricomparirà molto presto (circa 30-60 minuti dopo). Nelle persone che mangiano molto velocemente, senza masticare e solitamente introducono grandi quantità di cibo ad ogni pasto, la distensione della parete gastrica avviene più lentamente e quindi il messaggio di sazietà tarda ad arrivare.
Il saziamento e la sazietà sono determinati anche dal tipo e dalla qualità degli alimenti introdotti durante il pasto. Ogni alimento ha un determinato potere saziante, che varia a seconda della presenza di altri componenti o alimenti nel pasto. In senso generale, i carboidrati complessi hanno un alto potere saziante, le proteine hanno un medio potere saziante e i lipidi hanno un alto potere saziante ma solo se introdotti in quantità elevata. Le fibre, soprattutto derivanti da verdura e da prodotti integrali, aumentano il potere saziante degli alimenti a cui si accompagnano. La frutta, invece, essendo composta principalmente di acqua e zuccheri semplici, ha un potere saziante temporaneo.
Se nello stesso pasto sono presenti i principali macronutrienti (carboidrati, proteine e lipidi) e le fibre derivanti dalla verdura, sia il saziamento che la sazietà saranno maggiori.
La capacità di riconoscere gli stimoli di fame e sazietà è una cosa innata nell’essere umano, come anche in tutti gli altri animali. Essa è molto sviluppata e attiva nel neonato e negli animali, tranne quelli domestici, da allevamento e negli animali che vivono in cattività. Negli animali liberi, questa capacità rimane inalterata per tutta la vita. Anche per l’uomo un tempo era così: gli stimoli di fame e sazietà hanno permesso a tutte le specie del regno animale (uomo compreso) di sopravvivere ed evolversi.
Purtroppo, sia nell’uomo che negli animali domestici, quelli che vivono in cattività e quelli da allevamento, questa capacità viene alterata da altre esigenze, prima tra tutte la scansione quotidiana del tempo cronologico.
E’ certamente evidente che non mangiamo perché abbiamo fame, anche se spesso non ce ne rendiamo conto, ma perché “è ora”. Tutta la vita dell’individuo è scandita dagli orari: l’ora di alzarsi, l’ora di fare colazione, l’ora di andare a scuola o al lavoro, l’ora di pranzo, l’ora di merenda, l’ora di cena, l’ora di andare a letto. Anche gli animali da compagnia (cani, gatti, uccelli, conigli, cavie, ecc.) si sono dovuti adeguare ai nostri orari.
Il fattore tempo non è l’unico ad influire sulla perdita della capacità di riconoscimento degli stimoli di fame e sazietà. Lo stress, l’ansia, la tristezza, la depressione possono provocare un falso stimolo della fame, il cui scopo è provocare l’assunzione di alimenti dolci che stimolino la produzione di sostanze in grado di favorire un temporaneo stato di benessere.
Quando mangiamo, tutti i nostri sensi collaborano ad inviare messaggi al cervello sulla forma, il colore, l’odore, il sapore e la consistenza di ciò che stiamo ingerendo. Agli stimoli sensoriali si aggiunge anche la memoria (ricordi piacevoli o spiacevoli). Tutte queste informazioni contribuiscono a determinare il senso di sazietà e la sensazione o meno di appagamento.
Un altro fattore che favorisce la comparsa dello stimolo di saziamento ed influisce sulla sazietà è la masticazione. Quasi tutti dedichiamo poco tempo e attenzione alla nostra alimentazione. La vita frenetica divisa tra casa, lavoro e famiglia lascia poco spazio alla preparazione e all’assunzione calma e rilassata dei pasti. A ciò dobbiamo aggiungere gli stati emozionali (stress, ansia, rabbia, nervosismo, depressione) che accompagnano la nostra giornata. Tutto questo influisce sia sulla scelta degli alimenti (veloci da preparare, ricchi di grassi e zuccheri, dal sapore accentuato), sia sulla modalità di assunzione. Probabilmente ciò è dovuto alla ricerca di una “sferzata di energia” di cui il nostro organismo necessita a causa dell’esaurimento delle forze dovuto ad una vita sempre di corsa. Purtroppo, però, ciò non avviene.
Più che mangiare, aggrediamo il cibo, lo sbraniamo, ingurgitiamo, lo deglutiamo quasi intero, proprio come fanno gli animali carnivori selvaggi. Questo atteggiamento potrebbe anche derivare dalla necessità di scaricare le tensioni e l’aggressività accumulata durante la giornata. Spesso, anche a distanza di poche ore dal pasto, non ci ricordiamo nemmeno cosa abbiamo mangiato.
La masticazione è importante, non solo perché attraverso la triturazione e la salivazione viene facilitata la digestione degli alimenti. Già questa cosa da sola sarebbe una grande conquista per la nostra salute, perché molti dei problemi legati alla civilizzazione che affliggono il nostro sistema digerente verrebbero risolti. Oltre a ciò, dobbiamo tener presente che nella cavità orofaringea e in particolare a livello della lingua, avviene la produzione della sazietà sensoriale, generata dalla stimolazione esercitata dal cibo sui cinque sensi (soprattutto gusto e olfatto). Mangiare velocemente e con voracità riduce la sazietà sensoriale, mentre una buona masticazione la favorisce.
Il nostro comportamento alimentare, inoltre, è influenzato dai sapori. La dietetica occidentale riconosce quattro sapori fondamentali: dolce, salato, acido e amaro. Su zone specifiche della lingua sono presenti le papille gustative in grado di riconoscere i vari sapori: dolce sulla punta, salato e acido ai lati, amaro sul retro.
Il sapore influenza il grado di accettazione di una sostanza, che è direttamente proporzionale alla piacevolezza della sensazione gustativa. Maggiormente ricercate sono le sostanze dolci perché danno una sensazione molto piacevole, la quale però diminuisce man mano che aumenta la concentrazione del sapore. Il gusto amaro, invece, provoca solitamente una sensazione sgradevole e il rifiuto della sostanza, soprattutto nei bambini, poiché questo sapore viene generalmente associato alle sostanze velenose. Il grado di piacevolezza e la ricerca di un alimento sono inoltre maggiori all’inizio del pasto e diminuiscono gradualmente, fino a diventare sgradevoli quando si è raggiunta la sazietà.
Riassumendo, per ripristinare la capacità di recepire lo stimolo di sazietà è importante:
1. Suddividere l’alimentazione quotidiana in 5 pasti
2. Prendersi del tempo per preparare e consumare il pasto senza fretta
3. Masticare bene il cibo
4. Introdurre i principali macronutrienti in ogni pasto, privilegiando i carboidrati a pranzo (fattore energetico) e le proteine a cena (fattore costruttivo)
5. Accompagnare ogni pasto con verdure (crude e/o cotte) e assumere la frutta negli spuntini
6. Consumare principalmente alimenti integrali (fibre, vitamine, oligoelementi)
e biologici (frutta con la buccia)
7. Ricordarsi che gli alimenti ricchi di zuccheri e lipidi sono più appetibili e stimolano il senso di fame.
Infine, un aspetto che pochi conoscono e viene molto sottovalutato è il fatto che, durante la masticazione degli alimenti freschi, integrali e biologici o biodinamici, vengono liberate le energie sottili in essi contenute, che servono a nutrire l’aspetto immateriale del nostro essere (corpo eterico, corpo astrale ed Io), ma di cui beneficia anche il corpo fisico.

martedì 16 giugno 2009

Il circolo vizioso

Spesso l’alimentazione quotidiana si caratterizza come disturbo del comportamento alimentare, anche se non in maniera palese. La persona si alimenta facendo molta attenzione a ciò che introduce, anche se dichiara di non essere a dieta. Spesso il modello alimentare è improntato su preconcetti e pregiudizi che inducono a scelte sbagliate (per es., scegliere la pasta o il riso in bianco invece che con un sugo, ritenendola più sana e meno calorica) oppure a tecniche di evitamento (eliminazione di intere categorie di alimenti considerati “pericolosi” o “vietati”).
Anche la suddivisione dei pasti viene male interpretata, non tenendo in conto le variazioni della glicemia nell’arco della giornata. Infatti, chi è costantemente a dieta o soffre di un disturbo del comportamento alimentare pensa che se mangerà di meno raggiungerà il proprio obiettivo principale: la diminuzione del peso corporeo. Purtroppo queste persone ignorano o tentano di ignorare il fatto che la fisiologia non può essere controllata con la sola forza di volontà. Infatti, in seguito ad un comportamento alimentare disturbato si verifica che a momenti di grande carico glicemico seguono periodi di forte calo della glicemia, dovuto all’assoluta mancanza di introduzione di alimenti, tale da provocare stati d’ansia, irritabilità, stress che in realtà sono solo segnali di fame ma che non vengono riconosciuti come tali.
A questi episodi spesso seguono comportamenti alimentari alterati quali l’introduzione compulsiva di cibo, solitamente dolci o carboidrati (crackers, pane, stuzzichini, patatine, cioccolata, ecc.) e alimenti ricchi di grassi (salumi, formaggi, salse varie). Questa introduzione compulsiva dà la sensazione di perdita di controllo, anche se temporaneamente diminuiscono i sintomi di ansia e nervosismo in seguito all’introduzione di cibo che provoca uno stato di benessere. A ciò seguono inevitabilmente sensi di colpa e diminuzione dell’autostima, fino ad arrivare all’utilizzo di comportamenti “compensatori” quali saltare i pasti successivi, provocarsi il vomito o l’iperattività fisica.
La sensazione di paura e ansia data dalla momentanea perdita di controllo crea un circolo vizioso, nel quale il tentativo di ipercontrollo attuato attraverso l’astinenza dall’introduzione di cibo provoca un calo glicemico a cui segue uno stimolo della fame che viene negato o non riconosciuto come tale, ma interpretato come ansia, stress o nervosismo. Ciò provoca un’introduzione compulsiva di cibo che determina sensi di colpa e diminuzione dell’autostima, con conseguente aumento del tentativo di ipercontrollo e nuovamente astinenza dal cibo, reiterando all’infinito il circolo vizioso.

Imparare ad ascoltare gli stimoli della fame e della sazietà e a suddividere gli alimenti nell’arco della giornata aiuta ad interrompere il circolo vizioso. Ciò può essere attuato seguendo uno schema molto semplice e lineare che favorisca il fisiologico andamento della glicemia ed aiuti ad evitare picchi di ipo- o iperglicemia.

Generalmente, circa ogni tre ore si verifica un calo di glicemia e compare lo stimolo della fame affinché venga introdotto del cibo che riporti la glicemia a valori di normalità. Spesso, in persone che presentano disturbi del comportamento alimentare, anche non palesi, questo stimolo della fame crea parecchia ansia, in quanto la persona è convinta che se asseconderà lo stimolo introducendo del cibo la conseguenza sarà l’aumento del peso corporeo. Molte persone tendono a cercare di ingannare questo segnale bevendo caffè, succhiando caramelle, masticando gomme, fumando o bevendo un bicchiere di acqua. Finché riescono ad ignorare lo stimolo della fame con questi espedienti sono molto soddisfatte e si sentono forti e potenti, ma quando non riescono più a controllare questi segnali l’ansia elevata scatena una vera e propria crisi bulimica durante la quale viene introdotta una grande quantità di alimenti, velocemente, voracemente e di pessima qualità, in quanto generalmente ricchi di grassi, zuccheri e conservanti. Infatti, molto difficilmente una persona colpita da un attacco bulimico è in grado di scegliere cibi salutari o di prepararsi un vero pasto.
Se il segnale della fame conseguente al calo della glicemia, invece, viene ascoltato e assecondato, magari con l’introduzione di frutta, succhi, centrifughe o yogurt, ideali per le pause fuori pasto, l’attacco bulimico non si verifica e il circolo vizioso viene interrotto, determinando uno stato di benessere psicofisico dato anche dal poter verificare che a questo nuovo comportamento alimentare non segue necessariamente un aumento del peso corporeo. Anzi, proprio questa variazione benefica porterà alla tanto agognata diminuzione di peso in seguito alla diminuzione dell’ansia, dello stress, degli attacchi bulimici, della ritenzione idrica, dell’accumulo di energia sotto forma di grasso corporeo dovuto all’introduzione di grandi quantitativi di cibo in un unico episodio.

lunedì 18 maggio 2009

Il silenzio degli innocenti


Un bambino nasce e l’arma più potente che ha è la sua voce: il pianto. Non esiste niente di più potente al mondo: richiama l’attenzione di tutti gli esseri viventi che gli stanno attorno. Nessuno può fare finta di niente, tutti accorrono per vedere di che cosa ha bisogno: avrà fame? sarà stanco? sarà da cambiare? avrà male?
Non è facile capire di cosa ha bisogno, si va per tentativi. Dopo millenni di vita sulla Terra, l’essere umano non è ancora in grado di decifrare il primo linguaggio di un bambino: il pianto. E così si finisce per fare quello che fanno tutti: si cerca di farlo smettere tappandogli la bocca. Si mette semplicemente una barriera tra noi e il suo pianto: un succhiotto, un biberon, del cibo. E finalmente (nel 99% dei casi) il bambino smette di piangere. E ci si può dedicare ad altro.
Ecco come abbiamo imparato fin da piccoli a non ascoltare più i nostri bisogni, a non capire più le nostre necessità, i nostri desideri, a placare la nostra frustrazione. Basta mettere ancora una volta una barriera: a volte il cibo, a volte una sigaretta, a volte un alcolico, altre volte la droga. Basta poco per placare il nostro pianto interiore, il nostro bisogno di essere capiti, ascoltati, amati. E’ così che nascono i disturbi legati all’alimentazione: anoressia, bulimia, binge eating disorders. E anche tutte le dipendenze: droga, alcol, fumo, sesso, gioco d’azzardo.
E’ vero, forse fin da bambini non siamo stati ascoltati, amati, nutriti. Ma questo non deve diventare un alibi per continuare a farsi del male o per ripetere lo stesso modello genitoriale con i nostri figli. Una volta acquisita la consapevolezza di questo pesante bagaglio che ci trasciniamo dietro dall’infanzia, il passo successivo può essere uno solo: imparare a lasciare andare la zavorra, a mollare la presa per poter liberare la nostra vita dalle catene del passato. L’unico tempo veramente importante è il presente: adesso e qui.
Solo adesso e qui possiamo cominciare ad ascoltare quel bambino che ancora piange dentro di noi. Se anche noi continueremo a chiudere la sua bocca come potrà dirci di cosa ha bisogno per essere felice? Quando tappiamo la bocca al bambino che è dentro di noi continuiamo a non voler sentire il nostro Io che urla e piange perché vuole spezzare le catene del passato, vuole essere libero, vuole rinascere.
Quando non siamo felici nel luogo in cui ci troviamo, sia esso il lavoro, la famiglia, la città in cui viviamo, il senso di insoddisfazione, di frustrazione, di incapacità di effettuare un cambiamento nella direzione desiderata crea uno stato di ansia, di disistima, di impotenza che la maggior parte delle volte viene placato con il cibo oppure con il fumo.
Quando ci arrabbiamo con qualcuno ma non riusciamo a sfogare la nostra rabbia, a dire ciò che pensiamo, ad esprimere quello che sentiamo dentro, la nostra mano, ancor più velocemente del pensiero, afferra il cibo e in un baleno, senza accorgercene, l’oggetto della nostra rabbia è lì, dentro la nostra bocca. E lo mastichiamo, lo stritoliamo, lo sbraniamo come se stessimo facendo tutto questo a qualcuno. E troppo spesso quel qualcuno siamo noi stessi. Allora l’atto non si rivolge più a qualcosa di esterno, ma di interno al nostro organismo: il nostro stomaco, colui che deve digerire tutto, anche i “rospi”, i “mattoni” e le ingiustizie (“questa cosa proprio non mi va giù”, “non lo digerisco”, “ho come un peso sullo stomaco”). Nasce così la gastrite e poi l’ulcera, che corrispondono a mangiare se stessi per non mangiare gli altri.
Quando abbiamo una relazione insoddisfacente, oppure non abbiamo nessuna relazione e ci sentiamo soli, mangiare cose dolci compensa quella dolcezza che ci è sempre mancata nella vita. Ma appena terminata la breve e illusoria sensazione di benessere provocata dall’aumento della produzione di serotonina nel nostro organismo, ripiombiamo nella triste realtà di tutti i giorni: la solitudine. Ed è spesso per tristezza e solitudine che si mangia, si beve, ci si droga, per colmare quel vuoto che separa la vita che vorremmo dalla vita reale.
E poi c’è il triste mondo di chi è sempre a dieta, per rincorrere un progetto futuro di magrezza e di felicità, rappresenta dall’approvazione sociale, dal successo, dall’illusione di poter risolvere tutti i problemi, dal sentirsi finalmente desiderati e amati. Una felicità fittizia, perché fondata su basi instabili, impermanenti, che non riescono a penetrare la profondità del nostro essere. Ma ancora una volta, ciò che non viene tenuto in conto è sempre quel bambino dentro di noi che vuole essere ascoltato e che noi mettiamo nuovamente a tacere costringendolo alla fame. Ma lui si ribella ed urla che non ne può più, che vuole vivere, mangiare ed essere amato. Non ne può più di surrogati. E quando tutto ciò accade, in superficie, nella vita di tutti i giorni che non ci piace e vogliamo cambiare, nasce l’ansia, la paura, il panico di non riuscire più a tenere la situazione sotto controllo. Nascono i sensi di colpa (“ho rovinato tutto”), le autoaccuse (“non riesco a combinare niente di buono”), i rimproveri (“è colpa mia”), la disistima (“non ce la farò mai”): e allora, visto che non siamo proprio capaci di tenere tutto sotto controllo, tanto vale lasciare andare le briglie e correre come cavalli impazziti. Ma alla fine della corsa tutto torna come prima, anzi, peggio. Perché ora bisogna combattere anche contro il senso di fallimento, che può farci scivolare nel baratro della depressione oppure può darci la forza di rideterminare, di ritentare ancora una volta questa sfida. Ma se utilizzeremo ancora l’ipercontrollo per cercare di risolvere la nostra infelicità interiore continueremo a sbattere sempre contro lo stesso muro. Chi dei due vincerà? Sicuramente non noi.
Allora qual’è la strada da percorrere, il mezzo da utilizzare per diventare finalmente felici? Se vogliamo uscire da quel tunnel che si è creato fin dall’infanzia e che sembra segnare obbligatoriamente la strada della nostra vita fino alla fine, dobbiamo fare quello che non ci è mai stato concesso fin dall’inizio: ascoltare. Ascoltare le nostre emozioni, i nostri desideri, le nostre sensazioni: seguire il nostro istinto.
Il nostro istinto non sbaglia mai: è ciò che ci ha permesso di sopravvivere fino ad oggi nella storia dell’umanità, quello che guida l’essere animale che è dentro di noi che, come il bambino, non utilizza la mente razionale per sapere cosa è meglio fare. Se impariamo ad ascoltarlo, ci indicherà esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. È l’unico di cui ci possiamo fidare, perché ci appartiene, fa parte di noi e sa di cosa abbiamo bisogno per essere felici. Per troppo tempo lo abbiamo soffocato pensando che altri potessero saperlo meglio di noi. Ma è giunto il momento di prendere in mano le redini della nostra vita e di iniziare a guidarla personalmente, basandoci sul nostro istinto, basando le nostre scelte su ciò che sentiamo che ci fa star bene e non sulle aspettative degli altri. Perché le uniche persone veramente interessate alla nostra felicità siamo noi stessi.

domenica 5 aprile 2009

I bambini, piorità del mondo


I bambini non sono una priorità del mondo, e non lo sono mai stati. Questa frase letta in un libro veramente illuminante[1] mi ha scosso profondamente, sia come essere umano, sia come mamma, sia come operatore del benessere. E non ho potuto non essere d’accordo con ciò che stavo leggendo.
Viviamo in un mondo che non è assolutamente a misura di bambino, nonostante molto sia stato fatto rispetto al passato per migliorare le condizioni di vita e di salute generali. Ma ancora oggi (e soprattutto oggi) i valori fondamentali ruotano attorno agli interessi degli adulti: lavoro, denaro, egocentrismo e priorità personali.
Come libero professionista che si occupa di alimentazione non ho potuto non convenire che, anche in campo alimentare, gli interessi dei bambini non hanno la priorità. Se così fosse, l’interesse primario sarebbe la salute dei nostri figli e non il guadagno economico delle ditte produttrici.
Quante mamme e nonne hanno ceduto di fronte al modo subdolo e allettante di promuovere il consumo di biscotti e merendine, pur sapendo che gli ingredienti in essi contenuti sono tutto fuorchè sani? Se la salute dei nostri figli fosse veramente il nostro interesse primario, continueremmo ancora ad offrire loro questi prodotti? Il problema principale è che la pubblicità punta moltissimo a far leva sui nostri punti deboli: cibo = amore = cura = ricompensa = calore = ricordo = attenzione. Questo a tutte le età.
Chi potrebbe affermare che una mamma o una nonna non tengono alla salute dei propri figli o nipoti? Potrebbe qualcuno pensare che esse vogliano il loro male? Assolutamente no! Allora perché continuiamo a minare la salute dei nostri figli con un’alimentazione che sta continuamente dando prova della mancanza di salubrità che dovrebbe invece garantire, soprattutto a chi andrebbe maggiormente tutelato, cioè i bambini?
Non esistono cibi buoni o cibi cattivi in assoluto: ciò che bisognerebbe principalmente considerare è lo stile alimentare quotidiano, quello di tutti i giorni. Purtroppo, è proprio l’alimentazione di tutti i giorni ad essere la causa di varie problematiche e patologie: allergie, sovrappeso, obesità e diabete in giovanissima età, come esempi più eclatanti. Ma non sono da trascurare le intolleranze, le malattie della pelle (eczemi, dermatiti, psoriasi, ecc.), le patologie intestinali (disbiosi, colite, stitichezza), infiammazioni persistenti e recidivanti (otiti, sinusiti, bronchiti, influenze e raffreddori). La lista potrebbe allungarsi all’infinito, perché ciò che noi esprimiamo attraverso la nostra salute o malattia dipende per la maggior parte da ciò che introduciamo nel nostro organismo. E anche quando si parla di malattie genetiche non bisogna dimenticare che anche i nostri geni vengono costruiti a partire da ciò che mangiamo.
Se i danni provocati dall’alimentazione scorretta fossero immediati, acuti e visibili, allora saremmo molto più attenti a ciò che introduciamo nel nostro organismo. Ma poiché spesso restano silenti per molti anni o forse non si manifesteranno mai in maniera esplicita, limitandosi a piccoli fastidi quotidiani e a sintomi che possono venire soppressi velocemente con qualche farmaco (o anche rimedio naturale), allora non diamo loro peso, trovandoci poi a dover fare i conti con patologie conclamate anche gravi.
Una madre che investe nel futuro dei propri figli sarà attenta a quello che mangia, beve e respira ancora prima di concepire una nuova vita. Così sarà anche durante la gravidanza e dopo il parto e oltre, quando questa nuova creatura venuta al mondo inizierà ad alimentarsi con cibi diversi dal latte materno. Questo è forse il migliore investimento che un genitore possa fare per i propri figli, più dei libretti di risparmio, delle polizze sulla vita, della scelta della migliore scuola del mondo. Ma per riuscire a fare questo, bisogna prima di tutto iniziare a nutrire saggiamente il bambino che vive dentro di noi: bisogna cominciare a prendersi cura di se stessi.

[1] Hugh & Gayle Prather – “Genitori nell’anima – come capire e nutrire il cuore dei figli” – Gruppo Editoriale Futura